Ispirazioni

Sue Williamson

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Sue Williamson

Io e la mia Moleskine: un ricordo personale

Uno dei miei primi passi per diventare una vera artista (avevo circa venticinque anni e lavoravo come copywriter per Benton & Bowles, un’importante agenzia pubblicitaria di New York) è stato quello di iscrivermi a un corso serale di disegno dal vero presso la Art Students League, sulla Cinquantasettesima. L’insegnante era il canuto John Groth, leggendario “artista di guerra” nonché amico di Ernest Hemingway (Hemingway scrisse la prefazione di un libro a lui dedicato). John insisteva perché i suoi alunni portassero sempre con sé un blocco da disegno e ogni settimana, durante la lezione, controllava i nostri lavori per vedere quanti di noi fossero riusciti a raggiungere l’obiettivo dei cinquanta disegni a settimana.

Dovevamo disegnare continuamente, al ristorante, sull’autobus, davanti alla TV, facendo del nostro meglio per cogliere l’azione nel suo svolgersi. John era convinto che soltanto attraverso questa pratica costante avremmo potuto sviluppare una forte connessione tra occhio e mano, cosa che nel tempo ci avrebbe consentito di acquisire una vera padronanza dell’arte del disegno.

I miei quaderni da disegno preferiti, all’epoca, erano formato A5, con la copertina nera. La carta non era di qualità particolarmente eccelsa e con gli acquarelli tendeva a gonfiarsi. Ma il quaderno non era eccessivamente voluminoso, quindi riuscivo a portarmelo facilmente in borsa e a disegnare senza attirare troppo l’attenzione, come sarebbe probabilmente successo con un quaderno più grande.

Gli insegnamenti di John mi hanno segnato per la vita, tanto che da allora non ho più potuto fare a meno di tenere sempre a portata di mano un blocco da disegno e guardare con interesse costante i quaderni di altri artisti. Essi rivelano spesso una freschezza e un’intimità che mancano alle grandi opere destinate al mondo dell’arte ufficiale. Contengono idee appena abbozzate, frasi che potrebbero svilupparsi in concetti più articolati o rimanere incompiute. Lo schizzo di un naso, un’insegna al neon, una pozzanghera, una donna dall’aspetto bizzarro che attraversa una stanza. Non sono destinati al mercato dell’arte, ma servono all’artista come riferimento per il futuro. Preferirei di gran lunga avere l’originale quaderno di Henry Moore, con i disegni a inchiostro delle pecore sul prato, piuttosto che uno dei suoi famosi bronzetti.

Quando sono in viaggio, niente mi disturba di più che arrivare in un posto nuovo senza avere qualcosa su cui disegnare. La prima cosa che faccio in questi casi è trovare un negozio che vende quaderni con pagine bianche, ed è stato proprio in una di queste incursioni a Brooklyn nel 2001 che mi sono imbattuta per la prima volta in una Moleskine (che a quel tempo non era affatto facile da trovare, mentre oggi è in bella vista negli espositori di tutte le librerie delle grandi città).

Ho preso in mano la mia prima Moleskine e ho estratto delicatamente la brochure dalla comoda tasca posteriore. Era intitolata “Storia di un taccuino leggendario”, e leggendo che la Moleskine è stata il taccuino preferito di luminari del calibro di Ernest Hemingway ho sorriso. Ho ripensato alle mie vecchie lezioni con John Groth, che hanno segnato definitivamente il mio passaggio dalla scrittura all’arte. Il cerchio si chiude.

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