I contenitori determinano la forma dei contenuti. Non si fa fatica a crederlo, basta versarsi un bicchiere d’acqua. Le cose però si complicano quando si comincia a parlare di educazione, arte e finanziamenti.
Il progetto è il contenitore che nell’ultimo mezzo secolo ha più influenzato la produzione contemporanea. Tutto è diventato progetto. Con la progressiva trasformazione dei sistemi di finanziamento, le istituzioni si sono ritrovate a doversi impacchettare a forma di finalità, obiettivi, attività, risultati attesi, beneficiari, valutazione, budget e cronoprogramma. Prima un teatro faceva il teatro e riceveva sovvenzioni per fare il teatro; oggi il teatro fa progetti didattici, di cooperazione internazionale e di produzione interculturale e interdisciplinare. Oggi? In effetti forse sarebbe più corretto dire “ieri”, visto che senza dubbio già adesso viviamo in un momento in cui start-up, kickstarter e nuove definizioni di scopo di lucro e senza scopo di lucro stanno certamente cambiando il modo in cui riconfiguriamo i nostri contenuti per farli entrare in sempre nuovi contenitori.
Anche l’arte contemporanea africana è un contenitore. Come se si trattasse di un cassetto, basta aprirlo e ci si può mettere dentro un po’ di tutto. Analizzando le esposizioni e le pubblicazioni focalizzate sull’arte contemporanea africana, ci si accorge che c’è un’incredibile eterogeneità di approcci con playlist di artisti che si ripetono raramente. Parlare di arte contemporanea africana e presentare degli autori come artisti africani ha però avuto un impatto determinante nell’influenzare il modo in cui questa produzione è stata percepita e analizzata.
Passiamo al sussidiario. Un libro di testo ha necessariamente un numero limitato di pagine e dividere il sapere in materie, capitoli e paragrafi, dedicando alla rivoluzione francese una certa percentuale e all’indipendenza del Camerun un’altra, determina la nostra impostazione e il nostro modo di concepire il mondo. La visione che si avrà dell’educazione se la si immagina come un nastro trasportatore è ovviamente diversa da quella che la raffigura come una valigia.
Torniamo al bicchiere d’acqua. Per chi ha studiato la lezione sul sussidiario non sarà difficile ricordare il famoso ciclo dell’acqua. Mare, nuvole, pioggia inducono all’autocoscienza ambientale, ma sono anche una buona immagine per ripensare i contenuti. E se i contenuti come l’acqua potessero muoversi e cambiare forma? In effetti questo è in buona sostanza il sapere libero. Non c’è alcuna spiegazione razionale per cui della gente passi ore e ore a scrivere un’enciclopedia quando già ne esistono o a rifare mappe di territori già mappati se non l’idea che rilasciando questo materiale con una licenza libera quei contenuti saranno liberi. I contenuti liberi possono essere usati, rimixati, modificati, aggiornati, integrati, corretti, venduti e analizzati da tutti e legalmente. Anche gli artisti, le istituzioni culturali, i critici e i ricercatori possono contribuire al sapere libero.
Ma cosa ci guadagno? Non lo sappiamo. Si sa che rilasciando dei contenuti con una licenza libera creative commons attribuzione condividi allo stesso modo aumenta la visibilità degli autori perché la licenza richiede che l’autore sia sempre citato. Si sa che questa licenza è infettiva perché chi utilizza quei contenuti deve adottare a sua volta la stessa licenza. Si sa anche che i contenuti possono contribuire a Wikipedia e quindi arrivare ad un numero vastissimo di persone. Ma ancora molte cose non si sanno. La domanda alla quale invece si può provare a rispondere è piuttosto: perché no? In alcuni casi ci sono dei chiari vantaggi nel non rilasciare liberamente dei contenuti, ma se l’esitazione è “magari poi un giorno chi lo sa forse potrei diventare ricco vendendo la mia tesi di laurea o l’immagine della mia installazione”, beh, è un buon momento per bersi un bicchiere d’acqua.