1. Produzione di senso
L’importanza dell’inizio di una narrazione è stata studiata a lungo. In uno stimolante saggio del 1975, Edward Said parla dell’incipit (dei romanzi), come di un primo passo nella produzione di senso (di un testo): “Un inizio non è soltanto un’azione, è anche un atteggiamento mentale, un tipo di lavoro, un’attitudine, una consapevolezza… iniziare significa fare o produrre una differenza… una differenza che è il risultato di una combinazione tra il ‘già familiare’ e la novità data dal lavoro umano sulla lingua… questa interazione tra il nuovo e il consueto senza cui (ex nihilo nihil fit) non può esservi alcun inizio… gli inizi confermano, anziché scoraggiare, un rigore radicale e attestano l’esistenza di almeno un’innovazione – l’aver cominciato.”
L’incipit di AtWork è l’espressione di una volontà di realizzare un progetto sul continente africano da parte di lettera27, fondazione non profit nata nel 2006 con l’obiettivo di sostenere il diritto all’alfabetizzazione, all’istruzione e favorire l’accesso alla conoscenza e all’informazione. Un progetto capace di rendere conto del nostro rapporto con il territorio e con l’Altro, alla ricerca di spazi di pensiero che contribuiscano all’evocazione di un diverso immaginario sul continente africano. E poiché in Africa non si può parlare di una logica centralizzata, ma piuttosto di micro-logiche che, nel loro insieme, formano un tessuto sociale, anche le azioni di AtWork seguono una traiettoria simile.
2. La collezione dei taccuini d’artista
AtWork è un progetto che parte dalla collezione dei ‘taccuini d’artista’, opere uniche realizzate da diversi artisti sui taccuini Moleskine. La collezione riflette la varietà, la ricchezza e la complessità dell’arte contemporanea e, a partire da una mostra online (www.atwork27.org), si trasforma in uno strumento per la circolazione del sapere.
2.1. Dono e relazione
Tutti i taccuini di AtWork sono donati dagli artisti. Il dono è la testimonianza di un atto, un gesto simbolico al tempo stesso libero e obbligato.
Il concetto di dono ha seguito un percorso lungo: da “fenomeno sociale totale” (Mauss), ad atto invisibile, inatteso e non ricambiabile (Derrida). Concepire l’opera d’arte come relazione nell’ambito di un dare e di un ricevere consente di chiederci se essa possa essere guardata come un dono o come rappresentazione di un dono e anche di considerare l’arte “come il luogo in cui vengono instaurate e simbolizzate forme di relazione e di reciprocità che coinvolgono di volta in volta l’invito e la provocazione, l’omaggio e l’insidia, la dedica e l’affronto; forme in cui i gesti del dare e del ricevere conservano tutta la loro ricchezza e il loro fascino, in un mondo in cui le regole delle relazioni interpersonali tendono invece a divenire sempre più prevedibili ed esplicite”2. Il dono così diventa più che un oggetto: è un rapporto con il suo destinatario. Gli artisti presenti nella collezione, infatti, non solo hanno donato una loro opera con l’obiettivo di sostenere i progetti di lettera27 sul continente africano, ma hanno visto nella diffusione digitale del loro lavoro e nella sua compatibilità con Internet un’occasione per raggiungere un pubblico più ampio.
2.2. CC BY-SA
AtWork fa circolare opere d’arte con una licenza d’uso ‘libera’ e condivisa (CC BY-SA), che autorizza un pieno uso delle immagini a due condizioni: che la fonte sia citata, e che chi utilizza le immagini adotti a sua volta lo stesso tipo di licenza.
Vista come alternativa al copyright, la licenza Creative Commons che identifica AtWork diventa un terreno di gioco e sperimentazione per nuove conoscenze e modalità di produzione (e proprietà) artistica. L’uso di tale licenza è legato a un desiderio di cambiamento e a una necessità di agire, che permettano una più ampia condivisione delle idee. La licenza Creative Commons (e l’utilizzo di Internet) diventa per AtWork una “piattaforma di conoscenza” in modalità “share, remix, reuse legally”, in cui il pubblico può essere contemporaneamente user, contributor e stakeholder.
Il mondo digitale e le nuove possibilità di registrazione e organizzazione dei saperi ad esso collegati aprono a delle prospettive di costruzione e di accesso alla conoscenza che sostituiscono l’orizzontalità al disciplinamento verticale. La collezione, così impostata, diventa anche una modalità di accesso al presente, che ci permette di pensare ad apprendimento e conoscenza come ‘eventualità’, che prendono corpo in situazioni che non sono necessariamente prescritte, ma che fanno parte del processo che dà vita all’opera.
2.3. Dentro i taccuini: fra finzione e documentazione
Alcuni taccuini della collezione contengono storie, altri sono trasformati in sculture, ma tutti hanno un comune denominatore: testimoniano il processo che precede l’opera, esplorando la forza delle note di carattere documentaristico e le infinite possibilità di lettura che queste aprono per la riflessione sulle diverse modalità di rappresentazione. Il taccuino, con la sua materia cartacea, tecnologicamente semplice ma concettualmente ricco, che assorbe e preserva il segno (fisico e materiale), si associa così ad uno spazio “in between”, che raccoglie fragilità e forza nello stesso tempo. Un artefatto che contiene un’azione intima, ma che tende verso la relazione e la reciprocità.
I taccuini di AtWork presentano un forte dinamismo, tanto delle immagini, quanto delle esperienze che essi incorporano. Nei taccuini, la forma si lega al contenuto: partendo dalla cultura del viaggio inteso come spaesamento e scoperta di nuovi mondi, la forma taccuino permette di annotare “quelle frasi spontanee che non si possono ripetere, troppo vaghe per qualcosa che non sia il proprio taccuino”.3 Alcuni prendono forma di note e appunti personali, alla stregua di un laboratorio di idee da sviluppare (come nel caso di Hervé Yamguen, Alioum Moussa, Ruth Sacks, Camerun Platter); altri esprimono la presa di coscienza della diversità, per rendere più intensa l’importanza dell’esperienza vissuta (Audry Liseron-Monfils, Fréderic Keiff, Roberto Paci Dalò). Pre-opere in procinto di diventare qualcos’altro (Enzo Umbaca), i taccuini aiutano a raccontare e rivisitare la storia (Ozmo, Luigi Presicce, Michelangelo Consani, James Webb, Slimane Rais, Ethel Kabwato) e offrono l’occasione per intraprendere un viaggio fra l’Italia e il Corno d’Africa (Marco Colombaioni). Intreccio di realtà e finzione (Iman Issa), riflessione sul movimento dell’individuo nel mondo (Pascale-Marthine Tayou), i taccuini diventano pretesto per tradurre in immagine il problema della mappa geopolitica contemporanea (Mohsin Harraki). In altri casi, essi ispirano la ricerca sull’auto-sostenibilità (Polonca Lovsin) o divengono articolazione di diversi elementi visuali, sociali e storici (Seamus Farrell) e studio sul disegno come erosione grafica, capace di scardinare il nostro senso di identità-territorio e i suoi potenziali confini (MAP office).
2.4. Intorno ai taccuini: appunti e riflessioni
AtWork mira a facilitare e contribuire alla circolazione del sapere, cercando di agire in differenti contesti del continente africano seguendo diverse strategie e format, cercando uno spazio di ricerca autonomo.
Utilizzando una piattaforma online, AtWork presenta, insieme alle opere, i testi scritti da autori quali Ivan Bargna che, partendo da alcune riflessioni su Internet e l’Africa, s’interroga sul senso di una mostra online che ha come obiettivo di svilupparsi in seguito in Africa; oppure di Clare Butcher, che evidenzia il ruolo delle strutture di supporto spesso marginali e invisibili nei processi di archiviazione. Cécile Bourne-Farrell vede i taccuini come appunti inclassificabili, che sfumano il confine tra fiction e opera, instaurando una relazione complessa tra l’idea e la produzione impossibile. Per Sue Williamson i contenuti nei taccuini sono idee appena abbozzate, frasi che potrebbero svilupparsi in concetti più articolati o rimanere incompiute. Iolanda Pensa, infine, riflette sul senso del Creative Commons e Antonio Somaini sulla relazione fra dono e arte contemporanea. Simon Njami parte dalla sua storia personale per affermare che l’insieme dei taccuini (ognuno col proprio carattere e con la propria identità) è come il riflesso di un pensiero africano in opera.
3. Uno spettro di possibilità
AtWork, con la sua prima mossa, intende avvalersi di Internet per sottrarre l’arte (e la sua circolazione) alla tirannia dello spazio e degli oggetti materiali. AtWork inizia con una mostra online, ma si snoda come un processo che, seguendo diverse strategie, si sviluppa in format multipli (workshop, mostre, incontri) e cerca di creare una “zona di contatto”, uno spazio di incontro.
AtWork intende svilupparsi in diversi capitoli che si scrivono sul continente africano in seguito ad un’esperienza in vivo che si evolve a seconda del narratore e che a ogni tappa beneficia di quello che è stato fatto prima. Si tratta di un processo che si modifica e sviluppa in seguito all’esperienza delle persone che lo scrivono, diventando in questo modo uno strumento che non ha l’obiettivo di impostare il racconto, ma di proporre sistemi dinamici di interazione con il pubblico.
Potremmo così immaginare che l’incipit della storia porti a sviluppi del tutto inattesi. Del resto, come ci ricorda Simon Njami citando Stevenson, “l’avventura è l’essenza della storia stessa”.
AtWork si sviluppa così in forma sfaccettata, utilizzando i taccuini come richiamo metaforico che, prima ancora di diventare una forma di sapere, può suggerire un’idea circa il senso delle pratiche artistiche nella società della conoscenza.