Who's the stranger in me ?
Conductor:Simon Njami
Shiza Naveed, estratto dall’editoriale del catalogo AtWork.
Il capitolo 24 di AtWork Milano è stato organizzato dalla Fondazione Moleskine in collaborazione con BASE. È stato il secondo capitolo del tour 2023 “Chi è lo straniero in me?”.
Le culture Fon e Bakongo condividono lo stesso tipo di divinità: Nana Buluku per i Fon e Mahungu per i Bakongo. Per i Bakongo, Mahungu era una creatura a due teste che si divideva in due parti, dando vita a un maschio (Lumba) e a una femmina (Muzita). Per i Fon, Nana Buluku creò il maschio e la femmina dalla sua natura androgina. Questo “straniero” in me non va confuso con qualcuno che viene da fuori, come il dybbuk ebraico (un demone che perseguita lo spirito della sua vittima) o Sosia, il personaggio di Plauto (lo schiavo dai molti volti). Si tratta piuttosto di un’altra parte di me. È una parte che attiva azioni o pensieri che non controllo completamente e che a volte mi sorprende, come se avessi sognato o fossi sonnambulo. Non si tratta nemmeno del doppelgänger tedesco, anche se questo personaggio mitologico apre una riflessione sulla dualità dell’essere umano. Nel voodoo africano o in certe cerimonie latinoamericane, la trance permette di accedere a un’altra parte della personalità e di far emergere informazioni nascoste di cui non si era a conoscenza. È un grido che libera quella parte intangibile della psiche. È forse lo stesso tipo di grido metaforico che si sviluppa nel romanzo di Albert Camus “La caduta”, la storia di Jean-Baptiste Clamence (dal latino clamans/clamare, che significa gridare, in riferimento a Giovanni Battista che predicava nel deserto) che, a un certo punto della sua vita, diventa il suo stesso giudice. Fino al momento cruciale in cui non riesce a salvare una giovane donna che sta annegando e sta per morire, l’alta opinione che ha di sé gli appare come un’enorme menzogna, e inizia il suo processo. La domanda alla base di questo breve romanzo, scritto come un monologo, è quella dell’ “io” che pensiamo di essere, che potrebbe essere un costrutto sociale piuttosto che una realtà presunta. Chi siamo quando diciamo “io sono”? Finzione o realtà? Questa è la domanda a cui siamo invitati a rispondere e che potrebbe aiutarci a seguire l’invito di Socrate iscritto sul frontespizio del Tempio di Delfi: Conosci te stesso.
Il workshop si è svolto a Milano, dal 17 al 21 ottobre 2023, ed è stato condotto da Simon Njami di BASE. Il gruppo era composto da 19 leader creativi, alcuni su invito dalla rete dei Creativity Pioneers, altri reclutati attraverso un bando pubblico. Il gruppo era incredibilmente eterogeneo, con partecipanti provenienti da 13 Paesi diversi: Etiopia, Iran, Vietnam, Sudan, Ucraina, Bielorussia, Italia, Nigeria, Pakistan, Senegal, Perù e Svizzera. La domanda “Chi è lo straniero che è in me?” è diventata sempre più rilevante man mano che i partecipanti esploravano le loro identità più profonde e condividevano le loro esperienze in questi contesti diversi e spesso complessi, confrontando se stessi e l’ “altro” in questo viaggio impegnativo e rivelatore. I risultati di queste riflessioni personali e collettive sono stati riversati su taccuino Moleskine, che ogni partecipante ha personalizzato come risultato creativo del workshop e come risposta alla domanda posta.
Shiza Navid, estratto dall’editoriale del catalogo AtWork.
Simon Njami è un curatore indipendente, docente, scrittore e critico d’arte basato a Parigi. È cofondatore e caporedattore di “Revue Noire“, una rivista di arte contemporanea africana e extra-occidentale. È stato direttore artistico della Biennale di fotografia di Bamako per dieci anni. È stato co-curatore del primo padiglione africano alla 52a Biennale di Venezia nel 2007 e curatore della prima Fiera d’arte africana, tenutasi a Johannesburg nel 2008. Per dieci anni (2000/2010) è stato consigliere culturale dell’AFAA, il braccio culturale del Ministero degli Affari Esteri francese (ora Institut français) nell’ambito della sua politica di cooperazione culturale. È stato membro di numerose giurie d’arte e di fotografia (10 anni a WordPress). Njami ha curato numerose mostre di arte contemporanea e fotografia, tra cui Africa Remix (2004-2007) e The Divine Comedy (Francoforte, Savanna, Washington DC, 2014/15) African Metropolis (MAXXI, Roma, 2018) e due edizioni della Biennale Dak’Art (2016/2018). È stato membro dei comitati scientifici di numerosi musei e visiting professor presso la UCSD (Università di San Diego, California). Ha diretto i Master Class pan-africani di fotografia (2008/2019), un progetto da lui ideato con il Goethe Institut, ed è consulente del format educativo AtWork che ha co-creato con la Moleskine Foundation nel 2012 e che continua a dirigere tuttora. Sta inoltre costruendo la collezione permanente di arte contemporanea del museo Memorial Acte in Guadalupa.
Njami ha pubblicato sette libri, tra cui saggi e romanzi.
Nonostante l’eterogeneità del gruppo, l’atmosfera del workshop è stata subito aperta e intima. Attraverso una serie di domande ed esercizi, sapientemente guidati da Simon Njami, i partecipanti hanno continuato a scoprire lo sconosciuto in loro stessi e nei loro compagni. Alcuni dei partecipanti hanno fatto un lungo viaggio fino a Milano proprio per prendere parte a questa esperienza (due giorni in autobus dalla zona di guerra ucraina, un treno da Londra, un viaggio dalla Nigeria), che ha facilitato la creazione di uno spazio condiviso sicuro, libero da giudizi e pregiudizi, dove ognuno è un individuo libero di pensare e non un prodotto dei regimi o delle ideologie del proprio Paese. Questo gruppo di 19 estranei è diventato una famiglia senza confini, smantellando la nozione di “straniero” nel senso convenzionale del termine. L’esperienza del workshop ha fornito loro un kit di strumenti su come essere leader più consapevoli, che porteranno con sé nelle rispettive organizzazioni e comunità per continuare il loro lavoro di impatto sociale.
Fabio Orioli, estratto dall’editoriale del catalogo AtWork.
I risultati creativi del workshop, realizzati su taccuino, sono stati esposti a BASE il 23 ottobre e ci sono rimasti fino al 30 ottobre. Sotto la supervisione di Simon Njami, i partecipanti hanno co-costruito una mostra e creato un catalogo di alta qualità in 24 ore, presentando 19 interpretazioni del tema. L’inaugurazione a BASE è stata l’occasione perfetta per gli AtWorkers di celebrare gli “sconosciuti” che avevano scoperto in se stessi. Questo aspetto è stato accentuato da una AtWorker della precedente esperienza di AtWork a Milano, Brixhilda Shqalsi, che ha messo in scena una performance interattiva e improvvisata in maschera, incoraggiando il pubblico a prendere coscienza di sé attraverso gli occhi dello “sconosciuto” che imitava i suoi gesti.