Makerere University, Maisha Foundation
Tema:“Should I Take off My Shoes?” (Dovrei togliermi le scarpe?)
Conductor:Simon Njami
AtWork format è stato adottato dal dipartimento di arti visive della Makerere University e dalla sua galleria d’arte in partnership con Maisha Foundation. 20 studenti e neolaureati sono stati coinvolti in un workshop di cinque giorni (9-13 febbraio), per la prima volta tenuto dal nostro advisor Simon Njami. I partecipanti sono stati stimolati ad interrogarsi su se stessi, a mettersi in discussione, trovare un proprio punto di vista rispetto al tema proposto e a lasciare la propria “impronta” creativa sulle pagine dei taccuini Moleskine. I taccuini così prodotti sono stati esposti alla Makerere Art Gallery, dal 19 marzo all’11 aprile.
“Un rischio calcolato non è un rischio.”
Stacey Gillian, partecipante AtWork Kampala
“Should I take off my shoes?” (Dovrei togliermi le scarpe?) allude al momento in cui si accede a luoghi nuovi sconosciuti e invita a riflettere sul simbolismo del “varcare la soglia”. Spesso questo richiede una messa in discussione di noi stessi, delle nostre certezze e del modo in cui interagiamo con il mondo che ci circonda. Il capovolgimento di punti di vista e automatismi di pensiero è stato il filo conduttore di tutto il percorso guidato dal leader Simon Njami, in collaborazione con Katrin Peters-Klaphake, curatrice della Makerere Art Gallery, di un gruppo di facilitatori e di un ospite d’eccezione: Mira Nair
Infatti, i primi due giorni di workshop sono stati ospitati presso il Maisha Garden di Maisha Foundation, fondata dall’acclamata regista Mira Nair, che ha incontrato personalmente gli studenti e li ha ispirati in un dibattito a seguito della proiezione di uno dei suoi film “Salaam Bombay”. Questa è stata un’opportunità unica e rara per gli studenti che hanno potuto confrontarsi e lasciarsi ispirare da una donna che è un’artista e allo stesso tempo un’imprenditrice e, soprattutto, una persona dotata di spirito critico. Il workshop si è volutamente posto tra i due poli dell’educazione artistica formale e informale. E’ stato una parentesi nella routine dell’accademia, confrontando i metodi e le esperienze di insegnamento tradizionale con un modo più dialogico e inclusivo di apprendere.
L’esperienza di AtWork si è estesa anche oltre il gruppo dei partecipanti al workshop trasformandosi in un catalizzatore, un evento che ha permesso a molti protagonisti della scena artistica e creativa di Kampala di riunirsi: a East 32 si è tenuta una conversazione tra l’artista Said Adrus e Simon Njami, così come ci sono stati meeting e discussioni con i curatori passati e futuri della Biennale di Kampala.
Simon Njami è un curatore indipendente, docente, critico d’arte e scrittore. E ‘stato il co-fondatore e capo redattore della “Revue Noire“, direttore artistico della Biennale di fotografia di Bamako fotografia per dieci anni. Ha co-curato il primo padiglione Africano alla 52 ° Biennale di Venezia, nel 2007, e numerose mostre di arte e fotografia contemporanea, comprese Africa Remix (2004/2007) e la prima fiera d’arte africana, a Johannesburg nel 2008. La mostra The Divine Commedy, da lui ideata e curata ha iniziato un tour mondiale al MMK (Museum fur Moderne Kunst ) di Francoforte nel 2014, proseguendo allo SCAD Museum of Art di Savannah e lo Smithsonian Museum of African Art in Washington, DC. E’ direttore del master PanAfricano in fotografia, un progetto che nasce con il Goethe Institute. E’ direttore artistico della Fondazione Donwahi, di Abidjan, in Costa d’Avorio, consigliere del Sindika Dokolo Collection, segretario della giuria speciale del World Press Photography Awards. E’ direttore artistico della prima edizione della Biennale Off del Cairo (2015) e dell’edizione 2016 di Dak’Art, la biennale d’arte di Dakar, Senegal, la prima e più importante del continente africano.
“Abbiamo bisogno di persone che non siano solo artisti, ma pensatori. Alcuni sono già là fuori. Abbiamo bisogno di vedere la nuova generazione.”
Simon Njami, AtWork Kampala leader
Cinque giorni di ricerca, condivisione, confronto ed elaborazione, durante i quali i partecipanti si sono tolti metaforicamente e letteralmente le scarpe per esplorare nozioni, spazi e territori mai percorsi prima. Cinque giorni di “psicodramma collettivo” (cit. Simon Njami) durante il quale è emersa l’individualità di ciascuno. Ognuno ha iniziato a porsi delle domande e a cercare possibili risposte, aprendo la propria mente e i propri canali creativi. Ognuno ha cominciato a rendersi conto del fatto che per essere un artista bisogna essere prima di tutto un pensatore e, soprattutto, un essere umano. Tra i percorsi di rielaborazione dell’esperienza del workshop c’è, ad esempio, quello di Gloria Kiconco, una giovane scrittrice che ha partecipato ad AtWork Kampala e ha deciso di condividere con noi le sue riflessioni sulla domanda “Perché l’Africa?” su Doppiozero.
“Mi ha fatto riflettere veramente su chi sono e chi voglio essere…grazie per avermi dato una nuova mente.”
Immy Mali, partecipante AtWork Kampala
“In soli 5 giorni ho trovato me stessa, sono diventata una persona che corre rischi, che infrange le regole, ho creato una ribelle”
Miriam Namutebi, partecipante AtWork Kampala
L’esperienza è contenuta nel terzo capitolo del progetto AtWork in forma di booklet. La selezione dei testi riflette la visione e il contesto di AtWork in generale e della tappa di Kampala in particolare. Ospita una serie eterogenea di contributi: un saggio utopico di Simon Njami “Fictional Faculties” sulle idee che guidano e fanno da cornice ai laboratori. La conversazione tra Lilian Nabulime, George Kyeyune e Katrin Peters-Klaphake, l’intervista con Mira Nair e la risposta della partecipante Gloria Kiconco alla domanda Why Africa?
“La memoria è una seria finzione.”
Simon Njami, AtWork Kampala leader